Era quasi Luglio ormai. Faceva caldo. Come sempre d'altronde in città. Eravamo soliti andare in giro a cercare un po’ di fresco. Preferibilmente in periferia, dove i palazzi si diradano e quel poco di campagna che rimane regala piccole brezze di buonumore.

C’erano i soliti cinque o sei, i pochi rimasti in città.

Quella sera però era venuto anche Eddy. Aveva suggerito di andare al Boomerang a vedere com’era la serata. Era più vecchio di me di un anno e, per una volta, mi avrebbe sollevato dal titolo di più anziano del gruppo. Avevo ventidue anni.

Ci muovevamo sempre in motorino. Mentre cercavo di spingere al massimo il mio vecchio Si azzurro, pensavo a quanto è semplice la vita quando la testa si svuota di tutti i pensieri, quando l’unica preoccupazione diventa scegliere cosa fare durante la serata… Pensavo anche al fatto che quasi tutti i miei amici gravitavano attorno al mondo del basket e che, se per qualcuno il tempo della pratica agonistica era già finito, l’amicizia era comunque rimasta.

Una delle cose che ho sempre amato maggiormente di questo sport è diventato, col tempo, il motivo principale per il quale ancora oggi gioco.

L’unica ragione per la quale, dopo vent’anni di pallacanestro, non sono ancora stanco.

Lo spogliatoio.

Lo spogliatoio è il paradiso. A volte l’inferno. Dipende.

E’ emozione. E’ come la scuola.

Ci vai e sai che incontrerai il solito bullo che odi o la solita ragazzina che non ti guarda mai. Allo stesso modo entri in spogliatoio sapendo che, in fin dei conti, è come la ricreazione, quando esci in cortile, dimentichi gli sbruffoni e le fighette, e ti fai due risate con gli amici di sempre.

Lo spogliatoio racchiude una famiglia. Può accadere che, tra battute sporche e scherzi da caserma, qualcuno ti prenda da parte chiedendoti se hai due minuti, dopo la doccia, per un consiglio importante. Sono le volte in cui ti senti in qualche modo felice, consapevole che lo sport conserva in sè il germe dell’amicizia e che ogni tuo compagno considera, come te, la squadra un po’ la sua seconda casa… e non potrebbe farne a meno. Ora una parte di quella famiglia era in giro con me a divertirsi e tutto sembrava normale e naturale.

Arrivati al Boomerang ci accorgemmo subito che la serata non era una delle migliori. C’era poca gente e, nonostante vari e curiosi tentativi di animarla, l’atmosfera non si scaldava. Avevamo deciso di andarcene quasi subito quando, uscendo, trovammo Simone e ci fermammo un po’ a chiacchierare. Simone era un piccolo gran sognatore, d’incredibile creatività, ed era parecchio che non lo vedevamo. Discorrere con lui era sempre fonte di gran benessere.

Era costantemente pervaso da un entusiasmo contagioso, ragione per la quale eravamo rimasti oltremodo sorpresi quando, d'un tratto pensieroso, l’avevamo visto interrompersi durante uno dei suoi racconti.

Si era girato verso Federico, come in preda ad una visione rivelatrice, ed aveva urlato:

“Fede?! Dove vai questa estate?”

Fede era rimasto spiazzato dalla domanda.

“Non lo so, non ci ho ancora pensato…”

Sembrava che Simone non aspettasse altro.

“Andiamo a Lagos!”

Fede, preso così all’improvviso, si era trovato in difficoltà.

“Lagos? Che cazzo è?”

“Lagos Fedeee! Portogallo! Lagos! Ci sono andati dei miei amici. E’ una figata! Ci sono le scogliere! E’ vicino al Marocco! Il polline più buono del mondo!”

Negli occhi di Simone ora brillava una luce di maliziosa inquietudine.

“Lagos! Capisci?!”

Simone ci aveva messo l’enfasi giusta. Fede sembrava però provato da tale repentina proposta.

“Mah… non so, si potrebbe anche fare…”

“Dai Fede! Andiamo!”

Quando Simone vuole una cosa, e la vuole da te, non c’è via di scampo.

Una volta, durante un torneo estivo di tre contro tre, aveva lasciato tre denti sull’asfalto nel tentativo di recuperare una palla vagante. Era uno che non scherzava.

“Fede! Dobbiamo andare!”

A questo punto, tanto per non correre rischi, aveva tirato fuori la frase definitiva.

La frase che nei momenti d’incertezza non avresti mai voluto sentire e che decretava, a botta sicura e inesorabilmente, l’inutilità di ogni ulteriore baluardo difensivo…

“Cazzo Fede, se non lo facciamo adesso quando lo facciamo?!”

L’aveva detto. Era già tutto finito. Non c’era più speranza.

Avevamo assistito curiosi allo scambio di battute e ora stavamo aspettando il momento della resa incondizionata.

Perché sapevamo che sarebbe stato questione d’attimi.

Fede avrebbe resistito un po’, ma poi avrebbe ceduto.

Matematico.

Fede è così. Si entusiasma subito per ogni cosa nuova e interessante. Capita veramente assai di rado che respinga una proposta sul nascere. Credo che sia proprio questo uno dei motivi per il quale tanta gente gli vuole bene. Sembra capire i tuoi entusiasmi. Molte volte poi non se ne fa nulla, ma questa volta la situazione era veramente particolare. Simone non avrebbe mollato. Fede si era girato verso di noi come per cercare un complice sostegno. Poi si era rigirato verso Simone.

“… e come ci andiamo?”

Simo era sembrato quasi amichevolmente infastidito dalla domanda, come se fosse una cosa scontata e non importante.

“In Vespa! Come ci vuoi andare se no?”

La cosa cominciava a farsi interessante.

“In Vespa?! Io non ho una Vespa!”

“Beh… neanche io per quello!”

“E allora come facciamo?”

“Non so, ci penseremo…”

Fede era stremato.

“Ok… ci sentiamo i prossimi giorni…”

Simone appariva soddisfatto.

“Ottimo! Ciao ragazzi buonanotte”

La frittata era ormai fatta.

Tornammo in parcheggio a recupe­rare i motorini. La conversazione precedente già un ricordo. Una delle tante conversazioni che si fanno nelle sere d’estate… Questa volta avevo però la sensazione che Simone ci volesse andare veramente in Portogallo. In Vespa! In effetti, ricordo di aver pensato fosse proprio una bella cosa. Andare a vedere le scogliere. Montare in sella e attraversare l’Italia, poi la Francia, la Spagna e spingersi fino all’estremo sud portoghese.

Poteva essere una bella avventura.

Conoscendo Simo e Fede, e sapendo quanto le loro febbrili menti s’infiammavano per un nonnulla, coltivavo comunque il dubbio che potesse essere soltanto un altro degli innumerevoli sogni avventurosi che nascevano la sera e morivano alla prima luce del sole.

Un paio di giorni più tardi, si stava esaurendo un altro pomeriggio passato sui libri. Eravamo intenti a rientrare in aula studio, dopo l’ennesima pausa di una lunga giornata accademicamente improduttiva.

Fede si era avvicinato come per dirmi qualcosa.

In via Marsala, dove andavamo a studiare, c’era sempre un tremendo brusio durante il giorno. Anche in Luglio.

Quel giorno però c’eravamo solo noi due. Mi sembrava alquanto strano che Fede volesse parlarmi, confidenzialmente, di qualcosa che, in ogni caso, nessun altro avrebbe potuto sentire. In realtà poi non ci avevo dato molto peso giacché, più che tornare a studiare, avevo voglia di andare a pranzo e a­spet­tavo che mi parlasse…

“Verresti in Portogallo con noi?”

In fondo eravamo fatti tutti della stessa pasta e la mia risposta ne era la lampante conferma.

“Non so… si potrebbe anche fare…”

Fede sembrava preoccupato.

“Siamo in due e con una Vespa sola è dura…”

Non aveva tutti i torti.

“Effettivamente andare in due con una Vespa forse è un po’ lunga…”

“Potremo fare in tre con due Vespe e usarne una per i bagagli…”

“Sarebbe bello… non so… quando andreste via?”

“Penso a fine mese”

“E quanto stareste?”

“Non so, penso venti o trenta giorni”

“E le Vespe?”

“Non so… potremo prenderne una…”

“Vedremo…”

Come spesso accadeva, i nostri discorsi erano quanto di più impalpabile e aleatorio la mente umana potesse concepire. Non una decisione che fosse una. Non un punto fermo.

C’eravamo comunque abituati.

Non avevo mai guidato una Vespa in vita mia, e la prospettiva di fare seimila chilometri in sella mi sembrava leggermente pretenziosa nei miei confronti…

Ero però affascinato dall’idea.

Continuavo a ripetermi che sarebbe stato sicuramente meraviglioso e che, probabilmente, era il momento più adatto della mia vita per fare una cosa del genere.

Sono passati molti anni ormai, ma ancora oggi, quando qualcosa m’insinua il germe del dubbio in testa, mi fermo un attimo a pensare, cercando di trovare un buon motivo.

D’altronde, mi dico, se non lo faccio ora quando lo faccio poi?!

 

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